Ciao surfer,
nell’ultimo mese sono stato preso dal lavoro sulla mia tesi e, dato il successo delle due puntate diaristiche precedenti omaggiate dalla critica sul New York Times e sulla Gazzetta di Benevento, ho pensato: “perchè non ne parlo un po’ con il mio amico/amica del web?”
La storia lunga in breve è che una tesi in semiotica che parla delle città nei videogiochi.
Perchè proprio questo argomento? Per due motivi, principalmente:
Nello sviluppo del videogioco come medium sembra che ci sia stato un progressivo aumento della complessità dello spazio rappresentato, passando da uno spazio che è un semplice “sfondo dell'azione" sino a uno spazio significativo dal punto di vista narrativo e culturale. La città nei videogiochi potrebbe essere rappresentativa di questo sviluppo complessivo.
A differenza delle rappresentazioni della città fatte con altri mezzi (quadri, mappe, guide turistiche etc.) nei videogiochi la città non è solamente rappresentata, ma anche vissuta o, quantomeno, visitata. Praticamente si tratta della componente specifica dei videogiochi, l'immersività, che rende interessante studiare gli spazi urbani videoludici e permette di contestualizzare meglio il discorso su sviluppi tecnologici ancora più recenti, come la realtà virtuale, la realtà aumentata e il metaverso.
Questa è la storia per chi va di fretta. Per i viandanti pazienti, invece, continua qui sotto.
Lo spazio geometrico e lo spazio antropologico
Contrariamente alla tipica e popolare concezione che tende a contrapporre le parole ai fatti e l'azione al linguaggio, ogni azione dell'uomo sullo spazio, che riguarda il suo modo di viverlo, il suo modo di costruirlo e il suo modo di rappresentarlo, è anche un fatto di comunicazione.
Attraverso lo spazio, l'uomo definisce la sua cultura e la sua identità.
Questo è evidente in svariate situazioni, sia nei percorsi di vita individuali sia nelle espressioni della cultura collettiva: quando l'adolescente delimita e si esprime attraverso il territorio della sua cameretta, quando in un museo diamo un senso alla nostra visita in base al modo in cui lo percorriamo e poi, ovviamente, nei modi in cui le città vengono progettate, rappresentate, visitate e vissute.
Se è vero che "la società si riflette nei testi che produce", da un punto di vista comunicativo le città possono essere viste come dei testi che riflettono la loro cultura di riferimento e che, al tempo stesso, contribuiscono a produrla.
Non è un caso che, in tutti i discorsi e le narrazioni che riguardano le utopie e le distopie, dalla Repubblica di Platone a Blade Runner di Ridley Scott, la città sia un elemento cardine.
Ogni rappresentazione di città nella sua interezza deve confrontarsi con la sua articolazione e con i significati che porta con sè, anche nel caso di città immaginarie e finzionali.
La rilevanza dello spazio è evidente anche nel gioco che, in quanto "negazione della realtà", è sempre impegnato a definire e delimitare i suoi tempi e i suoi luoghi: il campo, l'arena, il tavolo, lo schermo, il palco.
Johan Huizinga, uno dei più importanti studiosi del gioco e del suo valore culturale, parlava a questo proposito di "cerchio magico", lo spazio in cui le regole del gioco vengono realizzate.
In qualche modo, la possibilità di significare del gioco si basa sul riconoscimento dei suoi confini.
Nello sviluppo del videogioco come medium sembra che ci sia stato un progressivo aumento della complessità dello spazio rappresentato, passando da uno spazio che è un semplice sfondo dell'azione sino a uno spazio significativo dal punto di vista narrativo e culturale.
Prendiamo ad esempio Pacman, videogioco arcade del 1980, che ha segnato la storia del medium.
In questo gioco il giocatore deve guidare un "dischetto giallo" animato con due obiettivi: collezionare/mangiare tutti i puntini presenti nel labirinto e scappare dai quattro fantasmi che lo inseguono.
Ciò che però aggiunge ritmo e dinamicità al gioco è la possibilità di acquisire delle pillole speciali (i punti rosa più grandi, nell'immagine qui sopra) che, per ben dieci secondi, ribaltano la situazione, rendendo più forte Pacman e facendo fuggire via i fantasmi, che possono essere mangiati.
Il "ritmo" dell'azione in Pacman può essere visto in questo modo:
Rimane costante l'azione di base "collezionare i puntini" dato che, una volta collezionati tutti, permette di superare il livello.
Lo stato emotivo del giocatore invece, che passa più volte e in pochi secondi dalla fuga all'inseguimento, cambia in continuazione.
Considerando questi meccanismi appare evidente come lo spazio di Pacman, cioè il labirinto, sia la cornice ideale per l'azione.
Il labirinto è valorizzato più per la configurazione fisica che riesce a creare piuttosto che per i suoi possibili rimandi simbolici.
Un labirinto, che fra l'altro, presuppone un punto di vista "privilegiato", quello del giocatore.
A differenza dello sfortunato Pacman, grazie al suo sguardo dall'alto il giocatore sa come è fatto il labirinto.
Utilizzando la terminologia di Maurice Merleau-Ponty, filosofo francese che si è interessato al tema della percezione, si potrebbe ipotizzare il passaggio da uno spazio "geometrico" a uno "antropologico" nella storia dei videogiochi, oppure di una compresenza di questi due nelle opere videoludiche più recenti, grazie alla presentazione di una molteplicità di punti di vista.
Detto questo, sarebbe ingenuo non considerare il peso che i fattori tecnologici e commerciali hanno avuto in questo sviluppo.
Solo con l'avvento degli "home video games", per esempio, è stato possibile iniziare ad inserire attività "lente" nei videogiochi come l'esplorazione e la risoluzione di enigmi, improponibili nelle sale giochi degli arcade.
In generale, sembra che nella storia dei media più recenti ci sia una prima fase concetrata sulla scoperta delle possibilità tecnologiche del mezzo e che solo in seguito vengano approfondite le sue conseguenze culturali, le "nuove proporzioni" che introduce.
È accaduto così per la fotografia e per il cinema, sta accadendo ora in modo simile per le nuove tecnologie, come la realtà virtuale.
Non è un caso che il valore artistico dei videogiochi sia iniziato ad emergere solo in tempi recenti.
Siamo solo dei passanti nelle città virtuali?
Poco meno di un anno fa Kostantinos Dimopoulous, urbanista greco, ha pubblicato Virtual Cities: An Atlas and Exploration of Video Game Cities.
Il libro è dedicato alle città di 45 videogiochi. Ci sono, fra le altre, Whiterun di Skyrim, Midgar di Final Fantasy VII e Racoon City di Resident Evil 2.
Oltre a dimostrare il crescente interesse per il valore culturale del medium, è interessante notare il modo in cui Dimopoulous parla di queste città virtuali.
A ben guardare, nel libro l'urbanista si mette nei panni di una guida turistica: propone percorsi da fare, alterna linguaggio informale e discorso erudito, racconta le città da un punto di vista interno, come se facessero parte del suo mondo.
Da vero appassionato, nemmeno in questo caso l'urbanista ludofilo si riserva dal piacere di giocare.
Il tema che emerge qui è: che cosa siamo nelle città virtuali?
Siamo passanti, visitatori o perfino… abitanti?
A differenza delle rappresentazioni della città fatte con altri mezzi (quadri, mappe, guide turistiche etc.) nei videogiochi la città non è solamente rappresentata, ma anche vissuta o, quantomeno, visitata. Praticamente si tratta della componente specifica dei videogiochi, l'immersività, che rende interessante studiare gli spazi urbani videoludici e permette di contestualizzare meglio il discorso su sviluppi tecnologici ancora più recenti, come la realtà virtuale, la realtà aumentata e il metaverso.
I mondi virtuali dei media interattivi incarnano il sogno millenario di entrare e fare esperienza dei mondi immaginari e che, come afferma lo studioso di giochi Mark J. P. Wolf, hanno un potenziale che è limitato solo da due cose: la capacità computazionale e l'immaginazione umana.
E tu, cosa ne pensi? Secondo te ha senso parlare di abitare le città virtuali?
Vivi l’idea dei mondi virtuali con entusiasmo o preoccupazione? Fammi sapere la tua nei commenti.
Ci sentiamo fra due settimane, per altre esplorazioni. A presto, surfer.
Link per chi non va di fretta
Un sito con tante mappe interattive di città videoludiche
Un sito dedicato alle interfacce dei videogiochi, con screenshoot e video
La guida turistica per le città videoludiche
Un’intervista a Mark J.P. Wolf sul tema dei mondi immaginari, fatta da Henry Jenkins