4 - Kid A Mnesia | Dentro il mondo virtuale dei Radiohead
quando la musica diventa esplorazione
Ciao surfer,
con grande consenso popolare, oggi Messaggi non letti cambia nome e aspetto, diventando Mondi possibili.
Ecco finalmente il “restringimento di campo” di cui parlavamo la volta scorsa.
Che te ne pare?
Ora però la devo smettere con i cambi di nome e identità, perchè altrimenti il signor Substack si arrabbia e mi rompe tutti i link.
Questa puntata è dedicata a Kid-A Mnesia Exhibition, la mostra virtuale ideata dai Radiohead in occasione dei vent’anni dalla pubblicazione del loro Kid A, il miglior album degli anni 2000 secondo Pitchfork, e di Amnesiac.
Qui il trailer, se non ne avessi mai sentito parlare.
L’idea iniziale in realtà prevedeva una vera e propria mostra offline, a Londra. Per essere esatti, i musicisti avevano in mente di realizzare “un’enorme costruzione rossa fatta saldando insieme container di spedizione, costruita in modo tale da sembrare che un'astronave brutalista si fosse schiantata contro l'architettura classica del Victoria & Albert Museum di Kensington”.
Bhè, sono i Radiohead, che cosa ti aspettavi?
Poi però il pianeta Terra ha deciso di prendersi una lunga pausa, era il 2020, e quindi l’idea della mostra o ciò che ne rimaneva è stata spostata tutta d’un pezzo nel virtuale, facendo di necessità virtù (lo so, un brutto gioco di parole). A dirla tutta, Thom Yorke non è stato per nulla dispiaciuto dalla soluzione alternativa perchè, come si può leggere qui, questo gli ha permesso di poter creare un’esibizione che “non ha bisogno di conformarsi a nessuna delle normali regole di un’esibizione, o della realtà”.
Un prodotto del genere, com’era prevedibile, ha creato non pochi equivoci definitori e affannosi tentativi di classificazione. Questi equivoci sono stati alimentati anche dal fatto che la distribuzione è stata affidata ad Epic Games, un negozio online di videogiochi.
Rolling Stone ha definito l’esibizione come un “metaverso devastato”, Eurogamer un “impressionante tour audiovisivo”, il New Yorker ha deciso persino di inserirlo nella sua lista dei migliori videogiochi del 2021.
Ma è davvero un videogioco?
Al suo interno non c’è nessuna sfida, non si può morire, non ci sono nemici da combattere, nessun punteggio, nessun livello. Forse sarebbe più corretto dire che è *anche*, e in parte, un videogioco, ma solo se uno ci tiene tanto a definirlo.
Benvenuti nella cultura dell’ibridazione.
Benvenuti nel mondo di Kid-Amnesia.
Il luogo e lo spazio
Sono in una foresta di carta. Non so chi sono nè cosa ci faccio qui. Forse quella luce rossa in fondo mi può aiutare. Inizio a vedere degli animaletti con certe sembianze umane che si nascondono dietro gli alberi, ma so che non hanno paura di me. Dovrei averne io di loro? I suoni della foresta sembrano i suoni della foresta di un altro mondo. La porta si apre senza che io la tocchi, forse qualcuno mi stava aspettando. Tutto, piano piano, inizia a prendere forma. Non c’è il cielo, nè le stelle. Lo spazio passa dall’improvvisazione della bozza di carta alla costruzione iper-razionale che rifiuta le decorazioni. Vengo accolto e rassicurato, everything in its right place. Se è tutto nel posto giusto, allora devo esserlo anch’io. Sono nel posto giusto, sì.
Lo spazio di Kid A Mnesia Exhibtion è organizzato rigorosamente nella sua articolazione sonora. I suoni al suo interno sono determinanti nella costruzione del paesaggio, tanto da richiamare alla mente il concetto di soundscape, definito dal compositore canadese Schafer come “l’ambiente acustico, così come è percepito dagli umani”.
Certo, in linea di massima si potrebbe dire che tutti i luoghi hanno dei suoni, proprio per questo il punto chiave della prospettiva propria degli ambienti sonori non sta nell’ambiente di per sè, ma nella percezione degli utilizzatori dello spazio e nell’organizzazione dei suoni che lo compongono.
In generale, è utile contestualizzare il soundscape facendo riferimento a un ripensamento dell’idea tradizionale di paesaggio, che risale più o meno agli anni ‘70.
Che cosa critica nello specifico dell’idea di paesaggio, chi progetta spazi sonori?
Che sia stato inteso per molto tempo essenzialmente come statico, un paesaggio che dà assoluta centralità alla vista e subordina gli altri sensi, proponendo una percezione dell’oggetto dello sguardo come distaccato e naturale.
La nuova concenzione di paesaggio portata avanti con gli spazi sonori ha a che fare con un ritorno alla sensorialità, unitaria e non divisa, e con l’immersione. Una prospettiva che, fra l’altro, sembra essere prefigurata nel “dinamismo” di certi quadri di Monet, Van Gogh e Picasso, solo per citare alcuni possibili precursori, nonchè negli esperimenti espressivi ad opera dei futuristi.
I processi comunicativi immersivi si fondano sulla sensazione, virtuale o effettiva, di trovarsi all’interno di un ambiente e di poter interagire con esso. La comunicazione immersiva è basata sulla progettazione di un sistema spaziale e sulla programmazione di procedure di interazione con esso. Si tratta di fabbricare universi, di produrre un “ecosistema linguistico” […] La qualità cognitiva dell’immersione non è nè la visione, nè l’ascolto, nè il tatto ma l’esperienza. Con l’immersione si apre il conflitto tra i “linguaggi della scrittura” e i “linguaggi dell’esperienza”.
A. Abruzzese - Lessico della comunicazione (2003), Voce: Immersione
Proprio da questa prospettiva possono essere intesi gli spazi sonori, anche quello di Kid A Mnesia.
Attraverso i colori, nella mappa dell’esibizione viene rappresentata la relazione tra i suoni e gli spazi.
Questa mappa è accessibile attraverso diversi codici QR sparsi in varie parti della mostra. Il fatto che essa non sia direttamente immersa nello spazio virtuale non è di poco conto. Viene dato un’importante “dietro le quinte” su come è stato progettato il luogo, ma senza inserirlo nell’ambiente vero e proprio dell’esperienza virtuale, favorendo diversi livelli di lettura e diversi percorsi: dall’esplorazione più immediata e casuale all’osservazione più analitica che punta ad approfondire questa relazione fra suoni e spazi.
L’inizio del percorso è in una foresta “in bianco e nero”, piena di alberi spogli (mi ritrovai in una selva oscura…?). Ci sono dei suoni ambientali difficili da decifrare.
La fitta selva costituisce uno dei primi limiti spaziali, assieme alla costruzione che le sta intorno, che sembra essere una specie di stabilimento industriale. Un’evidente luce rossa segnala l’ingresso allo stabilimento, se ci avviciniamo la porta si apre da sola.
Lo spazio reagisce alla nostra presenza, non il contrario.
Entriamo, dunque, e accettiamo l’invito della porta silenziosa.
Da qui il paesaggio inizia a cambiare, le figure disegnate della foresta lasciano spazio alle linee rigide e ai colori elettrici della costruzione. Mentre saliamo una breve scalinata veniamo sorpresi dall’inizio ipnotico di Everything is in its right place. Prima di proseguire, troviamo un messaggio lasciato dagli autori.
Ci viene segnalato un elemento a cui prestare particolare attenzione: le porte. Porte dentro altre porte, porte che si aprono da sole, porte scorrevoli, porte segrete e così via. La cosa divertente è che le porte vere e proprie nella mostra sono veramente poche, ci sono perlopiù passaggi, fessure, portali.
Questa valorizzazione della continuità del movimento data dalla scarsità di limiti spaziali non fa altro che risaltare, per contrasto, la discontinuità presente nel piano visivo e nel piano sonoro fra le varie parti dell’esibizione, in modo tale da garantire un’esperienza complessivamente fluida e idealmente ininterrotta.
Partendo da questa considerazione sappiamo anche che, nelle rare occasioni all’interno del mondo virtuale in cui il controllo del visitatore viene bloccato e lo sguardo viene orientato attraverso particolari movimenti di camera, siamo in presenza di sequenze chiave che hanno una valenza diversa rispetto alle altre e che contribuiscono allo sviluppo della narrazione essenziale che sottostà all’esibizione. E’ il caso, ad esempio, di ciò che accade dentro la piramide.
La maschera
Il mio corpo senza mani non sa cosa sono gli specchi. Attorno a me animaletti strani, piccoli demoni, grandi minotauri, corpi che si dissolvono e che posso attraversare. Più esploro il mondo esterno, più sono costretto a guardarmi dentro. Lo spazio risponde ai miei movimenti e la musica l’asseconda. Quella che sto indossando è una maschera o un volto? Forse il percorso sta tutto nello scoprire se sono sempre io o se sono diventato altro, e soprattutto chi è “io” e chi è “altro”. Forse non è solo evasione, forse non è solo escapismo.
Per immergerci ed agire in un mondo virtuale abbiamo sempre bisogno di un qualche tipo di “simulacro” di noi stessi, che garantisca la nostra presenza nel mondo e regoli le forme dell’interazione.
Questa estensione, definita da Bruno Fraschini come “protesi digitale”, può avere differenti forme in base a quanto venga più o meno caratterizzata, determinando effetti di senso diversi per quanto riguarda l’alterazione dell’identità del giocatore.
La più conosciuta fra queste protesi è probabilmente l’avatar, un personaggio che il giocatore si ritrova a impersonare. In alcuni casi l’avatar ha già un aspetto e una storia ben definiti, in altri va invece costruito da zero e il giocatore s’impegna nel “far crescere” il proprio personaggio (è il caso dei giochi di ruolo).
In Kid A Mnesia l’immersione data dalla protesi sembra basarsi sin dall’inizio sulla sua trasparenza. La protesi non viene caratterizzata in nessun modo, se non per il fatto che attraverso questa estensione possiamo solo muoverci e osservare il mondo virtuale, senza agire direttamente su di esso. Semmai, man mano che procediamo nell’esplorazione, scopriamo che è lo spazio a reagire alla nostra presenza. Sulla base di questa configurazione, giustificata dall’uso della prima persona, l’ipotesi più ovvia è che il giocatore impersoni semplicemente se stesso, senza l’aggiunta di nessuna forma e contenuto alla sua estensione.
Attraverso questo punto di vista soggettivo il giocatore/visitatore può interrogarsi sul senso della sua presenza nel mondo virtuale. Le varie e buffe figure animate che capita di incontrare (demonietti, animaletti, figure evanescenti etc.) sembrano al tempo stesso stimolare e mettere in crisi questa ricerca di senso, quando per esempio ricambiano il nostro sguardo o quando siamo obbligati a imitare i loro movimenti. Alla fine, la domanda sull’identità del giocatore non ha mai un’unica risposta.
La rivelazione (e la fine?)
A un certo punto, si inizia a salire e sembra che non si finisca mai di farlo. Sono in un’esposizione universale con vista su un mondo devastato, o qualcosa del genere. Mi sono fatto degli amici, credo. In ogni caso continuo a salire. Lo spazio è sempre uguale e continua a ripetersi sino allo sfinimento, ma se “sei all’inizio deve esserci una fine”, mi ricordo. Nel scala/passerella senza fine ci sono dei quadri e dei disegni da osservare, forse mi possono spiegare qualcosa. Ma io non voglio sapere tutto. Questo posto non è reale, giusto? Siamo tutti sulla stessa barca, piccoli demoni nel loro percorso ascensionale. Basta un inaspettato cambio di prospettiva per avere un’epifania, un breve momento di chiarezza che emerge fra la diversità degli stimoli. Ho scoperto la mia maschera. Eppure manca qualcosa, manca sempre qualcosa. Ora i titoli di coda non bastano per stabilire una fine, una volta e per tutte. È la tua esperienza, è il tuo percorso, decidi tu quand’è la fine. La morte qui è solo una rappresentazione. Allora, fai un altro giro?
Link per chi non va di fretta
Il sito ufficiale di Kid A Mnesia Exhibition
Un full playthrough dell’esibizione
Alcune considerazioni di Thom Yorke e Stanley Dontwood su come è nata l’idea
Un approfondimento sulla progettazione del luogo
Una pubblicazione accademica con le analisi di alcuni spazi sonori a Bologna
Fa sempre bene parlare e far parlare di Kid A Mnesia Exhibition. Per me è stato il complemento perfetto ai due dischi, vent'anni dopo. Un pezzo mancante di cui non sospettavo l'esistenza. Se ti interessa ne avevo scritto qua: https://it.ign.com/kid-a-mnesia-exhibition/188573/feature/kid-a-mnesia-exhibition-i-radiohead-di-fine-secolo-su-ps5-e-pc.