Ciao surfer,
dopo un memorabile periodo di silenzio, che ha portato qualcuno a sospettare della sua morte, questa newsletter torna parlando del guardarsi intorno, del decidere una strada e, complessivamente, sul futuro di se stessa.
Cosa ho fatto in tutto questo tempo? Bhè, innanzitutto, mi sono laureato.
La tesi di cui ti parlavo nell’ultima puntata si trova ora, fatta e finita, qui.
Poi sono andato in Francia, a Marsiglia, per un tirocinio post-laurea. Ho passato l’intera estate lì.
Come forse avrai già capito, fare due cose contemporaneamente non è il mio forte. E poi chi lo ha mai conosciuto un multitasker simpatico?
L’avvallamento, per Seth Godin
Ora però ci siamo lasciati alle spalle il 2022 e io voglio riprendere in mano questo progetto e portarlo “fuori dall’avvallamento”.
Lascia che ti spieghi meglio.
Seth Godin, famoso autore di marketing, ha scritto un piccolo e veloce libretto, The Dip, dove ha cercato di delineare in maniera generale come e perchè i progetti e le iniziative personali vadano a buon fine o no.
Cosa succede quando si “inizia qualcosa”, che sia un hobby, un’impresa, una specializzazione o altro.
L’idea di Godin è di pensare a un modello che aiuti a decidere quando ha senso continuare e quando lasciar perdere. Gli inglesi, con la loro lingua molto più pragmatica della nostra, in questi casi dicono when to stick e when to quit.
Secondo Godin, quando si cerca di perseguire un obiettivo più o meno a lungo termine, spesso la situazione assomiglia a questa curva:
Questa curva si basa sul rapporto fra tempo ed energie che si dedicano al progetto (effort) e alla gratificazione che, di ritorno, arriva in cambio (results).
Quando si inizia un percorso c’è sempre una carica di slancio e di entusiasmo, quella serie di gratificazioni che derivano, per esempio, dal dare un nome all’idea, dall’imparare e applicare dei concetti basilari, dal parlarne con gli amici e così via.
Andando avanti, però, il rapporto fra sforzi e risultati si riduce, ed ecco che arriva l’avvallamento (the dip), quella fase stagnante in cui non si vede più la luce in fondo al tunnel e che conoscono bene gli eroi di tante storie.
Del resto la curva del Dip è piuttosto simile a un’altra più nota in psicologia, quella dell’effetto Dunning-Kruger, una distorsione cognitiva per cui le persone “all’inizio” in una determinata competenza o settore tendono a sopravvalutare le proprie conoscenze e a riceverne quindi una sensazione di sicurezza che, andando avanti, diminuisce.
Nel dip c’è il momento decisivo in cui bisogna decidere se mollare, con un po’ di rimorso ma anche con un po’ di sollievo, o se continuare, a testa bassa ma con la convizione che gli sforzi saranno ripagati.
Ora, la considerazione di Godin che mi sembra più interessante arriva proprio a questo punto del discorso.
La posizione dell’autore, infatti, non è quella di ripetere banalmente il solito americanissimo slogan “never give up”, cioè non mollare mai, neanche di fronte a difficoltà che sembrano insormontabili.
Quello che mette in luce Godin è che la competenza migliore che si possa mai imparare è capire quando ha più senso lasciar perdere, la capacità intuitiva che permette di intravedere che, alla fine dei conti, non ne vale la pena.
Non ci sono quindi sempre da una parte i loser che si ritirano e i winner che persistono, semmai chi acquisisce la capacità della “ritirata strategica” può portare a casa qualche lezione su ciò che è andato storto e applicarle in nuovo campo.
In poche parole, in certi casi la persistenza può essere stupida, o irrazionale, o più semplicemente non conveniente.
Il problema è che molte persone decidono di abbandonare troppo in fretta o troppo spesso, solo per avere la gratificazione del “nuovo inizio”, molte altre invece continuano a sbattere la testa in attività che, a lungo andare, non si rivelano produttive.
Nelle parole di Godin:
Il Dip è la lunga sgobbata fra l’inizio e la padronanza. Una lunga sgobbata che in realtà è una scorciatoia, perchè ti porta dove vuoi andare più velocemente di qualsiasi altro percorso.
Il Dip è la combinazione di burocrazia e di faccende da sbrigare che devi affrontare per ottenere la certificazione in scuba-diving. Il Dip è la differenza tra la facile tecnica per principianti e l’approccio più utile da esperto nello sci o nel fashion design.
Il Dip è la lunga distesa fra la fortuna del principiante e il reale traguardo.
Il Dip è l’insieme di “schermi artificiali” creati per tenere fuori (dal mercato, dal settore etc.) persone come te.
L’avvallamento, per me
Ti sto parlando di tutto questo giusto per dirti che è arrivato il momento di una “ritirata strategica” da questa newsletter?
No, semmai vorrei aggiustare il tiro.
Ho iniziato questo percorso con l’idea di avere come argomento i media e la comunicazione, saltando un po’ di palo in frasca fra la fotografia, la pubblicità, la televisione e anche qualche piccola esperienza personale.
Forse un po’ per deformazione formativa, più che professionale, sono stato attratto da una seducente, quanto poco auspicabile, “tuttologia”. Eppure non mi sono mai piaciuti quei progetti editoriali che vogliono parlare di tutto a tutti, con la pretesa di spiegare l’universo e tutto quanto.
Quello che vorrei fare ora è, semplicemente, restringere il campo sugli argomenti che da tempo mi appassionano di più, cioè i mondi virtuali, i videogiochi e le esperienze interattive.
Se escludiamo la copertura giornalistica, che spesso si limita a riportare i grandi numeri e a fare blande recensioni, e l’interesse dei marketer, chiaramente rivolto alle strategie di monetizzazione di questi spazi, di discussione critica su questi oggetti culturali rimane ben poco, specialmente in Italia.
Cito come esempi che fanno eccezione Silicon Arcadia, la newsletter collettiva ideata da Riccardo Vessa di cui anch’io faccio parte, e Joypad, il podcast con un tono leggero e per certi versi comico curato dal Post.
Per quanto riguarda il discorso accademico, nonostante possa aver prodotto risultati interessanti, il problema è proprio che rimane accademico, cioè tendenzialmente chiuso in sè stesso e che da solo non riesce ad andare oltre la propria comunità.
In questo contesto mi voglio inserire cercando di portare un modesto approfondimento con l’aiuto dell’approccio semiotico, per tutte le persone che sono interessate non solo ai giudizi estetici (è bello, è brutto etc.) o ai dati di mercato (vende, non vende etc.) sulle opere interattive, ma anche, e sopratutto, a capire come e perchè funzionano.
Queste sono le premesse. Non ti nego che il resto è un po’ tutto da vedere, ma credo che uno degli aspetti più interessanti del fare comunicazione online sia proprio l’avere il “privilegio” di poter imparare strada facendo. Godin su questo probabilmente sarebbe d’accordo.
Ma innanzitutto, dati i nuovi argomenti, il titolo “Messaggi non letti” lo dovrei cambiare. Io ho due idee per il nuovo nome, mi dai un tuo parere per aiutarmi a decidere?
p.s: holden è il mio nickname più ricorrente.
A proposito, hai notato quanto il termine newsletter ormai possa essere fuorviante? Questo spazio, per esempio, è tutt’altro che legato alle notizie.
Ci vorrebbe un termine come, che ne so, serie-di-e-mail o serie-di-lettere-elettroniche, così come c’è serie-tv e web-serie.
Vedremo se la lingua ci meraviglierà anche questa volta con la sua evoluzione.
Ok, direi che per oggi è tutto.
A presto, surfer.
Link per chi non va di fretta
La grande stanchezza - alcune considerazioni di Gianluca Diegoli sulla stanchezza e il burn-out degli autori di newsletter
Il presente e il futuro delle newsletter - l’intervista a Dan Oshinky su Ellissi
Il blog di Seth Godin
Spiegare che cos’è la semiotica senza cadere in semplificazioni o tecnicismi non è cosa facile, ma io ho provato lo stesso a farlo brevemente qui. Se ti va dammi un feedback, sopratutto se non ne hai mai sentito parlare.